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LA CRISI IN ITALIA SUI LAVORI PUBBLICI. Interessante articolo: Se si vuole spendere subito denaro in nuovi lavori pubblici, meglio finanziare piccole e piccolissime opere.
15/12/2008

Interessante articolo su La Repubblica di ANDREA BOITANI 

Mentre il paese sta precipitando nella piu' grave recessione degli ultimi ottant'anni, e' scontata la riproposizione di un piano per rilanciare le grandi opere infrastrutturali quale strumento principe della politica anticongiunturale. Del resto, non vuol fare cosi' anche Barak Obama? 
Peccato che, in Italia, gli ostacoli a una politica anticongiunturale basata sugli investimenti pubblici siano molto alti.

Il primo ostacolo e' la carenza strutturale di risorse pubbliche rispetto ai programmi varati. 
L'abitudine di approvare piani vastissimi (per accontentare tutte le aspirazioni territoriali) genera un fabbisogno di risorse ben oltre il ragionevolmente disponibile per un paese con il livello di debito pubblico e di pressione fiscale dell'Italia. L'andazzo che porta a inserire in tali piani opere che sono ben lontane dall'essere giunte a un sufficiente grado di avanzamento progettuale e ancor piu' lontane dall'aver ricevuto l'accordo degli infiniti enti territoriali che accampano diritti di veto – fa si' che i costi inizialmente stimati siano di gran lunga inferiori a quelli che si rivelano a progettazione ultimata. Il rilievo si trova in "La revisione della spesa pubblica – Rapporto 2008", della Commissione tecnica per la finanza pubblica (soppressa subito dopo l'insediamento del nuovo governo), ma e' contenuto anche nell'"Allegato infrastrutture" al Dpef 20092011. 

Generalmente, la risposta retorica alla carenze di risorse e' il ricorso alla "finanza di progetto". Ma anche la retorica deve arrendersi quando il mercato finanziario e i principali istituti di credito si trovano nelle condizioni attuali. Resta comunque il fatto – ammesso nel citato "Allegato infrastrutture" – che le risorse private sono rimaste molto al di sotto della soglia prevista, mentre si stima saranno ridotte di quasi 50% (rispetto alle speranze) quelle di provenienza europea. E a tutto cio' va aggiunto che – soprattutto nel caso dei "megaprogetti" – l'incremento di costo tra la progettazione e la realizzazione varia (secondo le stime di vari studiosi europei) dal 20% per i progetti stradali al 45% per quelli ferroviari. Adesso il governo persegue un estensivo ricorso al "Fondo per le aree sottoutilizzate" (un po' diventato il cappotto di Napoleone di "Miseria e nobilta'"). Purtroppo, tale fondo ha un vincolo di destinazione: l'85% al Sud e il 15% al CentroNord. Mentre la quota di reti di trasporto congestionate e' molto piu' alta al CentroNord che al Sud e, quindi, semmai, la "carenza infrastrutturale" rappresenta un limite alla crescita piu' al CentroNord che al Sud.

I governi italiani si sono sempre rifiutati di selezionare i progetti sulla base di serie valutazioni dei loro costi e benefici sociali, affidate a soggetti terzi (possibilmente internazionali) e condotte secondo una metodologia standard che consenta confronti trasparenti. Sono rimasti cosi' privi di uno strumento potente per "troncare" liste troppo lunghe e allocare le scarse risorse disponibili alle opere socialmente piu' utili. 

Spesso il Cipe, per approvare un maggior numero di progetti, ricorre allo stratagemma del "finanziamento parziale", che permette di aprire i cantieri, ma non di completare l'opera fino alla sua piena funzionalita'. Come ha rilevato la Corte dei Conti nel 2007, questa abitudine ha spinto alla frammentazione di progetti per lotti (spesso assai poco "funzionali"), al fine di massimizzare la probabilita' di ottenere fondi dal Cipe, pregiudicando pero' la programmazione generale e finendo per accrescere i costi delle opere complessive, oltre che per allungare i tempi di realizzazione delle stesse.

I tempi: ecco il secondo ostacolo all'uso delle grandi opere per rilanciare l'economia in recessione. In uno studio (del novembre 2007) condotto dal Dipartimento per le politiche dello sviluppo del ministero dello Sviluppo economico (e ormai rimosso dal sito Internet del ministero) compaiono i dati sconcertanti riportati nel grafico in pagina, proprio con riferimento alle infrastrutture di trasporto. Quasi 11 anni per completare opere di valore superiore a 50 milioni di euro (cioe' qualsiasi "lotto" di una grande opera), oltre 7 anni per opere di valore compreso tra 10 e 50 milioni e quasi 5 anni per opere di valore tra i 5 e i 10 milioni di euro. Il dato piu' impressionante riguarda i tempi di progettazione e di appalto, che possono arrivare fino a 4,3 anni per le opere maggiori (e sono piu' lunghi per opere al Centro Nord che nel Mezzogiorno). 

Tenuto conto di quanto s'e' detto circa lo stadio di avanzamento dei progetti al momento dell'approvazione da parte del Cipe, e' chiaro che il tempo necessario a trasformare il programma di spesa in cantiere e, quindi, in spesa effettiva e' lunghissimo, molto superiore alla durata di una normale fase recessiva e, probabilmente superiore anche alla fase recessiva "straordinaria" che stiamo vivendo. Solo le opere di minori dimensioni sembrano in grado di trasformarsi in spesa effettiva in tempi relativamente brevi.

Ha dunque fatto bene il governo a inserire, all'articolo 20 del decreto anticrisi, norme per velocizzare le procedure esecutive dei progetti del quadro strategico nazionale e per modificare il relativo regime di contenzioso amministrativo. Bisogna sperare che si rivelino norme efficaci, a prescindere dalle esigenze congiunturali. È infatti probabile che tale "velocizzazione" riesca a incidere poco sui gia' menzionati lunghissimi tempi per la progettazione, le conferenze dei servizi, ecc.. Se si vuole veramente fare una politica di bilancio anticiclica, e' bene lasciar stare le grandi opere, a parte garantire le risorse per completare in tempi decenti quelle gia' cantierate. Se si vuole spendere subito denaro in nuovi lavori pubblici, meglio finanziare piccole e piccolissime opere: per esempio le manutenzioni straordinarie delle scuole, degli ospedali e degli acquedotti. Massimo Bordignon e Alessandro Fontana (su www.lavoce.info) ci informano che l'Anarafe nazionale dell'edilizia scolastica (prevista da una legge del 1996) ancora non esiste e che lo Stato ha ridotto i finanziamenti destinati all'edilizia scolastica dai 270 milioni di euro di media nel triennio 199698 ai 75 milioni del triennio 200709. È venuto il momento di invertire la rotta. 

Ma c'e' anche un altro argomento a sostegno delle piccole opere: il moltiplicatore dell'occupazione nel settore delle grandi opere e' notoriamente basso, piu' basso che nel settore dell'edilizia civile. Cio' perche' le grandi opere di trasporto sono caratterizzate da una bassa intensita' di lavoro e da un'elevata intensita' di capitale e tecnologia, al contrario dell'edilizia civile. 

E perche' nel settore delle grandi opere molti macchinari e prefabbricati sono di importazione, di nuovo al contrario che nel campo dell'edilizia civile. Insomma, ogni euro in piu' speso nelle grandi opere genera meno occupazione aggiuntiva (e quindi meno domanda aggregata interna) rispetto a ogni euro in piu' speso per aggiustare scuole, ospedali e acquedotti.

Articolo di  ANDREA BOITANI
Fonte: La repubblica
Clicca qui sotto per l'Articolo originale.

 


 
 
 
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