APPALTI: OPERATORI AL LAVORO PER CAMBIARE IL CODICE. Authority, imprese e professionisti nella commissione
07/04/2010 |
|
Tanta era la voglia di cambiare che l`avevano chiamata «commissione
rivoluzionaria». Poi si sono accorti che in mezzo a quelle grisaglie il
richiamo a Lenin suonava un po` stonato. E hanno ripiegato su un piu`
burocratico tavolo di lavoro per la «riforma delle norme sui lavori pubblici».
Nel mirino c`e` la disciplina degli appalti pubblici. La
vicenda delle opere della protezione civile e` stata la goccia che ha fatto
traboccare un vaso gia` colmo. Scarsa trasparenza, ritardi, contenziosi
infiniti, stanziamenti in calo. E nelle pieghe di tutto questo il cancro della
corruzione che trova il suo humus ideale nella dispersione
delle responsabilita`, nell`opacita` delle procedure, nel diritto di veto
diffuso a ogni livello.
Cosi` buona parte del settore ha deciso di mobilitarsi. Al progetto,
cui il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli ha dato il suo consenso,
hanno aderito le imprese di costruzione (Ance, Agi, Ancpl,
Federcostruzioni), i professionisti (Oice), le cosiddette
stazioni appaltanti pubbliche e private (Anas, Autostrade per
l`Italia, Ps, Sias, Aiscat) e l`Autorita` di vigilanza sui lavori pubblici. Le
imprese sostengono che gli attuali meccanismi non consentono una remunerazione
adeguata dei lavori effettuati. Chi appalta non e` soddisfatto delle modalita`
con cui e` costretto ad assegnare una commessa.
La scorciatoia delle procedure straordinarie (protezione
civile, grandi eventi), imboccata per superare i difetti del sistema, non ha
funzionato e ha alimentato la corruzione. E' arrivato il momento di cambiare,
dicono tutti. Gia`, ma come? La questione ruota intorno alla legge
Merloni, poi diventata codice dei contratti pubblici. Approvata nel
1994, fu concepita nell`immediato dopo tangentopoli per porre fine allo
scandalo della ``spartizione della torta degli appalti tra poche grandi
imprese di costruzione che versavano cospicue tangenti ai partiti.
Quindi, bandi ampiamente pubblicizzati e possibilita` di
partecipazione alle gare per tutte le imprese che possiedono determinati
requisiti certificati (attestazione Soa) dalla nuova Autorita`
per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (Avcp).
Vince chi offre il massimo ribasso rispetto al prezzo base. Si toglie alla
pubblica amministrazione qualsiasi discrezionalita`. Tutto perfetto, sulla
carta.
In realta` le norme che disciplinano il settore si sono moltiplicate: alla
Merloni, con il suo corposo regolamento di attuazione, si sono aggiunte due
direttive europee, un numero imprecisato di leggi regionali, oltre a quelle
sulle procedure straordinarie della protezione civile e dei grandi eventi. «In
questa proliferazione di norme - spiega Giovanni Castellucci, amministratore
delegato di Atlantia e Autostrade per l`Italia - le migliaia di imprese e di
stazioni appaltanti fanno sempre piu` fatica a orientarsi. Le imprese si
svuotano di competenze tecniche e si riempiono di legali.
E` arrivato il momento di ripensare e semplificare il sistema,
tenendo come capisaldi le direttive europee». «Il problema - conferma l`ex
presidente della Camera Luciano Violante (Pd), la cui associazione Italiadecide
ha dedicato il suo rapporto annuale 2009 alle infrastrutture -
non e` aumentare le pene per la corruzione ma semplificare le procedure per
aumentare la trasparenza. Negli anni la moltiplicazione dei controlli ha reso
opache le procedure, creando una situazione di instabilita`, con
modifiche continue. Oggi a un`impresa, per vincere un
grosso appalto, serve soprattutto un buon ufficio legale».
Non tutti pero` la pensano allo stesso modo. «La normativa - obietta
Mario Lupo, presidente dell`Agi (grandi imprese) - e` arrivata a 600
articoli, con il regolamento che sta per essere approvato. Buttiamo via
tutto? Per fare cosa? Un nuovo apparato di norme che le imprese devono
imparare a gestire?». Non sara` facile conciliare le posizioni.
Con il rischio che il sistema sia costretto a funzionare come oggi. Con le
procedure straordinarie (la protezione civile e i grandi eventi dominati dalla
``cricca`` di Angelo Balducci, il presidente del Consiglio superiore dei lavori
pubblici) dove i mariuoli trovano spazio per le loro scorribande.
E quelle ordinarie «dove - sintetizza Castellucci - tutti perdono: le opere
costano di piu` e sono completate in ritardo, il committente non ottiene i
risultati che si aspetta, le imprese sopravvivono solo se, dopo essersi
aggiudicate l`appalto con ribassi spesso sorprendenti, riescono a
dimostrare di aver subito un danno per fatti esterni o imprevisti».
Il contenzioso legale, infatti, piu` che l`eccezione e` la regola. «C`e`
un intero ceto - aggiunge Violante - che lucra su questa
situazione: quello degli avvocati specializzati in riserve». Funziona
cosi`: l`impresa cerca di vincere l`appalto a qualsiasi costo,
offrendo ribassi che causerebbero perdite evidenti, poi comincia a
contestare i progetti, il bando o il contratto per ottenere
revisioni di prezzo o farsi pagare il fermo forzato dei lavori. Cosi`
migliora il suo ritorno. Ma l`opera non va avanti e il committente e`
danneggiato.
«Il primo obiettivo - e` il parere di Andrea Camanzi, componente dell`Avcp -
deve essere la trasparenza che non e` nemica dell`urgenza». Il
punto di partenza e` la creazione di un`anagrafe unica nazionale dei
contratti pubblici che renda possibile la raccolta di dati in buona
parte gia` esistenti ma dispersi nei contenitori piu` disparati senza
omogeneita` di classificazione e di indicizzazione. «Dobbiamo avere - spiega
Camanzi - l`impronta digitale di ogni appalto: un insieme di dati essenziali,
obbligatori, gara per gara e contratto per contratto, che identifichi stazioni
appaltanti e imprese.
La banca dati nazionale cosi` concepita consentirebbe quello
che oggi non e` possibile: un controllo di gestione operativa di tutti i
contratti. E aiuterebbe la vigilanza facendo emergere le aree grige».
Per esempio, un gruppo di imprese che partecipa sempre allo stesso tipo di gare,
sconti offerti, intrecci tra amministratori di stazioni appaltanti e imprese. La
banca dati nazionale permetterebbe un altro passaggio cruciale: il
superamento dell`autodichiarazione con cui oggi l`impresa attesta di
possedere i requisiti per partecipare a una gara.
«L`autodichiarazione - spiega Camanzi - e` stata utilissima perche` ha
semplificato le procedure amministrative cartacee, ma nell`era digitale e` un
costo ingiustificato». «Le imprese - dice Paolo Buzzetti, presidente dell`Ance,
l`Associazione che riunisce le imprese di costruzione - hanno voglia di un
cambiamento netto perche` il degrado e` totale. Gli investimenti
pubblici sono calati del 25% in tre anni e non si riesce a spendere
nemmeno i soldi stanziati. Le stazioni appaltanti pagano con ritardo perche`
il patto di stabilita` morde.
In piu` la pubblica amministrazione ha perso la capacita` di governare i
processi: si oscilla tra la discrezionalita` che origina contestazioni
e il principio del massimo ribasso che sta cacciando le imprese dal mercato».
Il massimo ribasso, o almeno il modo in cui e` interpretato in Italia,
e` sul banco degli imputati. Anche per chi, come le stazioni
appaltanti, dovrebbe difenderlo a spada tratta.
Autostrade per l`Italia ha ottenuto lo scorso anno di poter appaltare il 60% dei
lavori alla sua Pavimental Ma rimane una delle principali stazioni appaltanti.
«Vogliamo che i ribassi si riducano - afferma Castellucci - e che aumenti la
certezza di stare nei tempi. Anche a costo di pagare di piu`. La strada e`
semplice: attribuire piu` responsabilita` dell`esecuzione all`impresa, compresa
la presentazione di garanzie finanziarie. Negli Stati Uniti arrivano al 50% del
valore dell`opera. E poi maggiore discrezionalita` nelle prequalifiche: il
mercato la deve fare chi offre piu` garanzie sull`esecuzione».
Su questo punto le imprese nicchiano. «Qualche grande stazione appaltante -
ribatte Lupo - vorrebbe che le imprese fossero responsabili di tutto. Ma come si
fa in Italia a governare le sorprese geologiche o quelle archeologiche?
E che cosa succede quando arriva uno stop dalla conferenza di
servizi?». «Rischiamo - aggiunge Buzzetti - che l`impresa malavitosa disponga di
piu` mezzi finanziari, la cui origine e` facile immaginare, di quella onesta.
Noi vorremmo che si tornasse alla sostanza delle cose: partendo dal presupposto
che la pubblica amministrazione e le imprese non sono sempre colluse, che si
lavora sulla base dell`efficienza. Poi si facciano i controlli con la massima
severita`». Molti suggeriscono di introdurre ``criteri reputazionali``
nella qualificazione delle imprese cioe` di dare la possibilita` alla stazione
appaltante di privilegiare quelle che in passato hanno dimostrato di saper
lavorare bene. ``Attenzione - obietta Lupo -, se si vogliono regole piu`
selettive, a noi sta bene.
Ma se la discrezionalita` per la stazione appaltante significa poter chiamare
Anemone (titolare di una delle imprese su cui sta indagando la magistratura per
gli appalti del G8 alla Maddalena, ndr) che e` dequalificato, allora non va piu`
bene``. «Avevamo proposto di usare criteri reputazionali - racconta Buzzetti -
per gli appalti in Abruzzo, ma ci hanno detto di no». Le proposte su cui
riflettere sono tante.
Violante, per esempio, mette l`accento sulla legittimazione al ricorso degli
enti territoriali. ``Oggi - spiega - prima si fa l`opera poi si comunica al
territorio a che cosa serve. Nel frattempo gli enti locali si rivoltano anche
perche` sanno che otterranno una compensazione. Invece tutti i soggetti
interessati vanno consultati prima: chi si sottrae e non dice la sua, non puo`
impugnare piu` niente. Meglio perdere un po` di tempo prima che dover sbrogliare
la matassa dopo». A quasi 20 anni da tangentopoli il mondo delle opere
pubbliche e` vicino a una svolta.
La legge Merloni ha privato le stazioni appaltanti di qualsiasi margine di
discrezionalita`, ma negli altri Paesi esistono regole che disincentivano il
massimo ribasso ``selvaggio`` e che permettono di non scegliere solo sulla base
del prezzo. «Dobbiamo ragionare - sintetizza Buzzetti - su meccanismi
discrezionali che siano oggettivamente verificabili».
«Il criterio di aggiudicazione delle opere - aggiunge Lupo -
non dovrebbe essere solo il massimo ribasso ma l`offerta economicamente
piu` conveniente. Ma attenzione: in questo clima di caccia alle streghe
si rischia di far passare leggi che contengono solo divieti anziche`
semplificazioni. E l`Italia sulle infrastrutture e` in forte ritardo, ha bisogno
di accelerare». Esiste anche un problema strutturale nella domanda e
nell`offerta.
Da una parte troppe stazioni appaltanti molte delle quali con
professionalita` e strumenti non adeguati al compito. Dall`altra troppe
imprese: le grandi sono nane nel mondo, le medie e le piccole sono
30mila, tutte con il diritto a sedersi al tavolo dei lavori pubblici. Ma il
cantiere e` aperto: l`emergenza-tangentopoli ha portato a un`altra emergenza,
fatta di inefficienza e di gravi abusi compiuti sfruttando le procedure
straordinarie.
«E` maturato - osserva Violante - un meccanismo di scambio permanente,
qualcosa che definirei ``familismo corruttivo``. Ai tempi di
tangentopoli era uno scambio tra professionisti, oggi tra intimi. E il fatto che
la Cei abbia prodotto un documento sulla corruzione come ai tempi di
tangentopoli e` molto significativo perche` la Chiesa e` presente in modo
capillare sul territorio, piu` dei partiti ormai». La reazione spontanea del
sistema puo` prevenire una degenerazione piu` grave di quella affrontata nel
1992.
Fonte:
Ance.it
|
|
|
| |
|