Pubblicata una Determinazione con la quale l'Autorita' fornisce indicazioni
e chiarisce alcuni dubbi interpretativi sulla possibilita' di ammettere alle gare
per l'aggiudicazione dei contratti pubblici soggetti giuridici diversi da quelli
compresi nell'elenco indicato dal Codice dei contratti (art. 34 del d.lgs.
n. 163/2006), come le fondazioni, gli istituti di formazione o di ricerca, le
Universita', anche alla luce della recente giurisprudenza comunitaria.
Determinazione n. 7 del 21 Ottobre 2010
Questioni interpretative concernenti la disciplina dell'articolo 34 del d.lgs.
163/2006 relativa ai soggetti a cui possono essere affidati i contratti pubblici
Premessa
La presente determinazione e' volta a chiarire alcuni dubbi interpretativi
attinenti alla disciplina dettata dall'articolo 34 del d.lgs. 163/2006 (nel
seguito “Codice”), in particolare alla possibilita' di ammettere alle gare per
l'aggiudicazione dei contratti pubblici soggetti giuridici diversi da quelli
ricompresi nell'elenco di cui all'articolo 34 del d.lgs. n. 163/2006, quali ad
esempio le fondazioni, gli istituti di formazione o di ricerca, le Universita'.
La questione riveste carattere generale e verte sulla legittimita' di una
interpretazione del citato articolo 34 che consenta la partecipazione alle
procedure competitive anche di ulteriori e diverse tipologie soggettive,
indipendentemente dalla loro natura giuridica.
Tale problematica e' stata gia' affrontata dall'Autorita' in atti specifici, quali
delibere e pareri di precontenzioso (si veda la deliberazione n. 119 del 2007,
il parere n. 127 del 2008); appare pertanto opportuno fornire indicazioni
applicative di carattere generale, anche alla luce della recente giurisprudenza
comunitaria in materia (sentenza 23 dicembre 2009 C-305/08).
1. Interpretazione dell'articolo 34 del Codice
Il citato articolo 34 del Codice ammette alle gare d'appalto di lavori, servizi
e forniture gli imprenditori individuali, anche artigiani, le societa'
commerciali, le societa' cooperative, i consorzi nonche' i soggetti che abbiano
stipulato il contratto GEIE, gli operatori economici stabiliti in altri Stati
membri, costituiti conformemente alla legislazione vigente nei rispettivi Paesi.
La disposizione del Codice si limita, quindi, ad individuare un elenco di
soggetti affidatari dei contratti pubblici, recependo pressoche' letteralmente la
previsione contenuta nell'articolo 10, comma 1, della previgente legge 11
febbraio 1994, n. 109 relativa ai soli appalti di lavori.
L'articolo3, comma 6, del Codice definisce il soggetto affidatario di contratti
pubblici quale “operatore economico”: termine, questo, che include
“l'imprenditore, il fornitore e il prestatore di servizi o un raggruppamento o
consorzio di essi” (comma 22 del medesimo articolo), affiancando dunque alla
figura dell'imprenditore anche quelle del fornitore e del prestatore di servizi.
Comune denominatore di tutte le figure contemplate dall'articolo 34 e', senza
dubbio, la nozione di impresa intesa come esercizio professionale di un'attivita'
economica.
La nozione di “operatore economico” in ambito europeo e' molto ampia e tende
ad abbracciare tutta la gamma dei soggetti che potenzialmente possono prender
parte ad una pubblica gara: l'articolo 1, comma 8 della direttiva 2004/18/CE
del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione
degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, dopo aver definito
gli appalti pubblici come contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra
uno o piu' operatori economici ed una o piu' amministrazioni aggiudicatrici,
designa, con i termini “imprenditore”, “fornitore” e “prestatore di servizi”,
una persona fisica o giuridica, o un ente pubblico, o un raggruppamento di tali
persone e/o enti che “offra sul mercato”, rispettivamente, la realizzazione di
lavori e/o opere, prodotti e servizi; la stessa disposizione specifica, poi, che
il termine “operatore economico” comprende l'imprenditore, il fornitore ed il
prestatore di servizi ed e' utilizzato allo scopo dichiarato di semplificare il
testo normativo.
In ambito italiano, la definizione comunitaria di “operatore economico” trova
riscontro nell'articolo 3 del Codice che prevede, al comma 22, che il termine di
“operatore economico” comprende l'imprenditore, il fornitore ed il prestatore di
servizi o un raggruppamento o un consorzio tra gli stessi, mentre, al comma 19,
specifica che i termini “imprenditore”, “fornitore” e “prestatore di servizi”
designano una persona fisica o giuridica o un ente senza personalita' giuridica,
compreso il gruppo europeo di interesse economico (GEIE), che offra sul mercato
la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti e la prestazione di
servizi.
Quindi, da un primo esame comparativo, le disposizioni dei due ordinamenti
giuridici sembrerebbero perfettamente allineate.
Tuttavia, il legislatore nazionale introduce nel Codice, riproponendo il
contenuto dell'articolo 10, comma 1, della legge n. 109/94, l'articolo 34,
rubricato “soggetti a cui possono essere affidati i contratti pubblici”; in esso
e' previsto un elenco di soggetti ammessi a partecipare alle gare per
l'affidamento di commesse pubbliche. Un primo problema, che l'articolo pone,
e' relativo alla natura, tassativa o meno, dell'elenco contenuto; un secondo, ma
strettamente connesso al primo, e' legato al significato attribuito al termine
imprenditore espressamente utilizzato.
Se l'imprenditore cui fa riferimento l'articolo 34 e' solo quello disciplinato
dall'articolo 2082 del codice civile (chi esercita professionalmente un'attivita'
economica organizzata al fine della produzione e dello scambio di beni e
servizi), si comprende che si e' di fronte ad un concetto piu' ristretto rispetto
a quello abbracciato dalla normativa comunitaria secondo la quale e' imprenditore
la persona fisica o giuridica o l'ente pubblico o il raggruppamento di tali
persone e/o enti che offra sul mercato la realizzazione di lavori e/o opere.
Del resto, a riguardo, e' opportuno rammentare che, nel contesto della procedura
di infrazione aperta nei confronti dell'Italia per alcune delle disposizioni
contenute nel Codice (poi chiusa in seguito all'adozione del d.lgs. 11 settembre
2008, n. 152 cosiddetto “terzo correttivo”), la Commissione europea ha
evidenziato che le direttive in materia di appalti pubblici non consentono di
restringere la possibilita' di partecipare alle gare ad alcune categorie di
operatori, escludendone altre. Tale rilievo e', poi, sfociato nell'intervento
additivo della lettera f-bis al capoverso dell'articolo 34 del Codice, che
permette la partecipazione alle gare degli” operatori economici, ai sensi
dell'art. 3, comma 22, stabiliti in altri Stati membri, costituiti conformemente
alla legislazione vigente nei rispettivi paesi”.
La giurisprudenza e' stata chiamata piu' volte a pronunciarsi sull'evidenziata
divergenza tra le citate disposizioni nazionali che, testualmente interpretate,
circoscrivono la partecipazione alle procedure di affidamento dei contratti
pubblici alle sole societa' commerciali (escludendo societa' semplici,
associazioni, enti pubblici, ecc..) e l'impostazione sostanziale ed oggettiva
del diritto comunitario, estranea a queste distinzioni. Sulla questione, sono
emerse posizioni non univoche. I dubbi erano diretti non tanto verso gli enti
pubblici economici che hanno natura ed a volte anche struttura imprenditoriale,
quanto sugli enti pubblici non economici a cui e' difficile attribuire il
carattere dell'imprenditorialita' e la cui partecipazione alle gare e'
suscettibile di alterare la par condicio, creando una distorsione dei meccanismi
concorrenziali, atteso il sistema di contribuzione e vantaggi di cui l'ente
pubblico gode.
A fianco di un orientamento restrittivo (cfr. Tar Campania, Napoli, Sez. I, 12
giugno 2002, n. 3411), ne e' emerso un altro che, partendo dalla considerazione
per cui un'opzione pregiudizialmente ostile alla partecipazione alle gare di
soggetti pubblici mal si concilierebbe con il principio che riconosce agli enti
pubblici piena autonomia negoziale, - la circostanza di essere beneficiari di
contribuzioni pubbliche non e' di per se' ostativa alla partecipazione a gare
pubbliche, sempre che si tratti di contribuzioni conseguite nel rispetto della
disciplina comunitaria di riferimento (ne e' prova il fatto che le imprese
private beneficiarie di aiuti finanziari pubblici possono prender parte a gare
pubbliche) - esclude un'incompatibilita' in astratto e ritiene che la questione
vada affrontata in concreto, verificando caso per caso (cfr. Cons. Stato, Sez.
V, 29 luglio 2003, n. 4327; Cons. Stato sez. VI 16/6/2009 n. 3897) la
compatibilita' delle finalita' istituzionali proprie dell'ente che intende prender
parte alla selezione con l'attivita' oggetto della prestazione dedotta
nell'appalto da affidare.
L'Autorita' ha avuto occasione di pronunciarsi sull'argomento con la
deliberazione n. 119 del 18.4.2007; in essa, esaminando i soggetti che ai sensi
dell'articolo 34 del Codice possono partecipare ad una gara pubblica, notava che
il comune denominatore degli stessi era rappresentato dall'esercizio
professionale di un'attivita' economica. Cio' aveva indotto l'Autorita' a
concludere nel senso che le Universita', non possedendo tale requisito, non
potessero essere ammesse alle procedure per l'affidamento di contratti pubblici,
a meno che le stesse non costituissero apposite societa', sulla base
dell'autonomia loro riconosciuta dalla legge 9 maggio 1989, n. 168. Anche per
gli Istituti di ricerca l'Autorita' riteneva necessario procedere ad una verifica
caso per caso degli statuti dei singoli enti al fine di valutare gli scopi
istituzionali che gli stessi erano chiamati a perseguire.
Piu' recentemente, l'Autorita', alla luce della giurisprudenza nazionale e
comunitaria, e' tornata sulla questione, affrontando, in linea generale, con il
parere n. 127 del 23 aprile 2008, il problema della possibilita' di
partecipazione alle gare d'appalto di soggetti giuridici diversi da quelli
indicati nell'elenco dell'articolo 34 del Codice, quali, nel caso di specie,
fondazioni, istituti di formazione o di ricerca. In detto parere, si e' ricordato
che, per il diritto comunitario, la nozione di impresa comprende qualsiasi
ente che esercita un'attivita' economica consistente nell'offerta di beni e
servizi su un determinato mercato, a prescindere dallo status giuridico di detta
entita' e dalle sue modalita' di finanziamento (cfr. da ultimo, in tal senso,
Corte di giustizia CE, sentenza 26 marzo 2009, causa C-113/07 P, Selex Sistemi
Integrati/ Commissione e Eurocontrol). Si tratta, quindi, di una nozione dai
confini ampi, che prescindono da una particolare formula organizzativa e dalla
necessita' di perseguire finalita' di lucro (cfr. sul punto le conclusioni
dell'Avvocato generale Jacobs presentate il 1 dicembre 2005 nella causa C-5/05,
decisa con sentenza della Corte di giustizia CE 23 novembre 2006, Joustra nonche'
la sentenza della Corte di giustizia CE 29 novembre 2007, causa C-119/06,
Commissione/Italia).
Per quanto concerne gli enti pubblici non economici, quali gli enti di ricerca
CNR, FORMEZ, CENSIS e IFOA, l'Autorita' ha esaminato il rischio di alterazione
della par condicio tra i partecipanti e il possibile effetto distorsivo della
concorrenza, atteso il particolare regime di agevolazioni finanziarie di cui
godono i predetti enti e la conseguente posizione di vantaggio rispetto ad altri
soggetti che forniscono i medesimi servizi nell'esercizio dell'attivita' di
impresa, dovendo sopportare integralmente i relativi costi.
In proposito, va sottolineato che la Corte di giustizia CE ha gia' avuto modo di
precisare che gli enti pubblici che beneficiano di sovvenzioni erogate dallo
Stato, che consentono loro di presentare offerte a prezzi notevolmente inferiori
a quelli degli altri offerenti non sovvenzionati, sono espressamente autorizzati
dalla direttiva a partecipare a procedure per l'aggiudicazione di appalti
pubblici (sentenza 7 dicembre 2000, causa C-94/99, ARGE).
Alla luce delle considerazioni esposte, l'Autorita', nel citato parere n.
127/2008, ha concluso, che gli enti pubblici non economici possono partecipare a
quelle gare che abbiano ad oggetto prestazioni corrispondenti ai loro fini
istituzionali, con la conseguente necessita' di operare una verifica in concreto
dello statuto al fine di valutare la conformita' delle prestazioni oggetto
dell'appalto agli scopi istituzionali dell'ente, optando per un'interpretazione
che non riconosce carattere tassativo all'articolo 34 del Codice.
In tale contesto e' intervenuta la Corte di Giustizia che il 23 dicembre 2009 si
e' pronunciata sulla causa C-305/08 relativa alla questione rimessale in via
pregiudiziale dal Consiglio di Stato, con il parere n. 167/2008.
Nell'ordinanza di rimessione, il Consiglio di Stato, oltre a riportare le
menzionate posizioni della giurisprudenza e dell'Autorita', evidenziava il
rischio per la concorrenza nel mercato dei contratti pubblici derivante dalla
partecipazione delle Universita' che godono di una posizione “di privilegio che
gli garantirebbe una sicurezza economica attraverso finanziamenti pubblici
costanti e prevedibili di cui gli altri operatori economici non possono
beneficiare”.
La Corte, pur riconoscendo che, in talune circostanze particolari,
l'amministrazione aggiudicatrice ha l'obbligo, o quanto meno la facolta', di
prendere in considerazione l'esistenza di aiuti non compatibili con il Trattato,
al fine eventualmente di escludere gli offerenti che ne beneficiano, ha
affermato che "le disposizioni della direttiva 2004/18, ed in particolare quelle
di cui al suo art. 1, nn. 2, lett. a), e 8, primo e secondo comma, che si
riferiscono alla nozione di “operatore economico”, devono essere interpretate
nel senso che consentono a soggetti che non perseguono un preminente scopo di
lucro, non dispongono della struttura organizzativa di un'impresa e non
assicurano una presenza regolare sul mercato, quali le universita' e gli istituti
di ricerca nonche' i raggruppamenti costituiti da universita' e amministrazioni
pubbliche, di partecipare ad un appalto pubblico di servizi".
Infatti, ribadendo quanto affermato in alcuni precedenti, la Corte ricorda che e'
ammesso a presentare un'offerta o a candidarsi qualsiasi soggetto o ente che,
considerati i requisiti indicati in un bando di gara, si reputi idoneo a
garantire l'esecuzione di detto appalto, in modo diretto oppure facendo ricorso
al subappalto, indipendentemente dal fatto di essere un soggetto di diritto
privato o di diritto pubblico e di essere attivo sul mercato in modo sistematico
oppure soltanto occasionale, o, ancora, dal fatto di essere sovvenzionato
tramite fondi pubblici o meno. L'effettiva capacita' di detto ente di soddisfare
i requisiti posti dal bando di gara deve essere valutata durante una fase
ulteriore della procedura, in applicazione dei criteri previsti agli articoli
44-52 della direttiva 2004/18 (cfr. sentenze 18 dicembre 2007, causa C-357/06,
Frigerio Luigi & Co, 12 luglio 2001, causa C-399/98, Ordine degli Architetti, 7
dicembre 2000, causa C-94/99).
La Corte, poi, richiamando l'articolo 4, n. 1, della direttiva 2004/18/CE,
precisa che gli Stati membri possono decidere liberamente se autorizzare o meno
determinati soggetti, quali le universita' e gli istituti di ricerca, non aventi
finalita' di lucro, ma volti principalmente alla didattica e alla ricerca, ad
operare sul mercato in funzione della compatibilita' di tali attivita' con i fini
istituzionali e statutari che sono chiamati a perseguire. Una volta concessa,
pero', l'autorizzazione, poi, non si puo' escludere gli enti in commento dalla
partecipazione alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici.
Pertanto, alla luce dell'attuale disciplina legislativa, il giudice comunitario
conclude che "la direttiva 2004/18 deve essere interpretata nel senso che essa
osta all'interpretazione di una normativa nazionale come quella di cui trattasi
nella causa principale che vieti a soggetti che, come le universita' e gli
istituti di ricerca, non perseguono un preminente scopo di lucro di partecipare
a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, benche' siffatti
soggetti siano autorizzati dal diritto nazionale ad offrire sul mercato i
servizi oggetto dell'appalto considerato."
Alla stregua dell'orientamento espresso dalla Corte di Giustizia con la sentenza
in esame, non sembra potersi affermare, in via generale, l'esistenza di un
divieto per gli operatori pubblici a partecipare alle procedure ad evidenza
pubblica. In sostanza, la definizione comunitaria di impresa non discende da
presupposti soggettivi, quali la pubblicita' dell'ente o l'assenza di lucro, ma
da elementi puramente oggettivi quali l'offerta di beni e servizi da scambiare
con altri soggetti, nell'ambito, quindi, di un'attivita' di impresa che puo' non
essere l'attivita' principale dell'organizzazione.
Sebbene, infatti, la risposta al secondo quesito attribuisca agli Stati membri
la facolta' di proibire a determinati soggetti di offrire alcuni servizi sul
mercato, non sono rinvenibili, attualmente, nell'ordinamento del sistema
universitario, norme di tale portata. Al contrario, la possibilita' per le
Universita' di operare sul mercato sarebbe espressamente prevista dall'articolo
7, comma 1, lett. c), della legge 168/1989, che include, tra le entrate degli
atenei, anche i corrispettivi di contratti e convenzioni, nonche' dall'articolo
66, del d.P.R. 382/1980, rubricato “Riordinamento della docenza universitaria,
relativa fascia di formazione nonche' sperimentazione organizzativa e didattica”
che prevede che le Universita' possano eseguire attivita' di ricerca e consulenza,
stabilite mediante contratti e convenzioni con enti pubblici e privati, con
l'unico limite della compatibilita' delle suddette attivita' con lo svolgimento
della funzione scientifica e didattica che per gli Atenei rimane prioritaria.
Resta ferma la necessita' di effettuare, caso per caso, un esame approfondito
dello statuto di tali persone giuridiche al fine di valutare gli scopi
istituzionali per cui sono state costituite. In sostanza, la stazione appaltante
deve verificare se gli enti partecipanti alla gara possano statutariamente
svolgere attivita' di impresa offrendo la fornitura di beni o la prestazione di
servizi sul mercato, pur senza rivestire la forma societaria (cfr. Cons. Stato
sez. VI 16/6/2009 n. 3897).
In altri termini, anche se non ricompresi nell'elenco di cui all'articolo 34 del
Codice, qualora i soggetti giuridici in questione annoverino, tra le attivita'
statutariamente ammesse, quella di svolgere compiti aventi rilevanza economica
possono, limitatamente al settore di pertinenza, - e se in possesso dei
requisiti richiesti dal singolo bando di gara - partecipare a procedure di
evidenza pubblica per l'affidamento di contratti aventi ad oggetto servizi
compatibili con le rispettive attivita' istituzionali.
È opportuno evidenziare, pero', che la Corte pone a fondamento della sentenza
anche la considerazione che l'esclusione delle Universita' potrebbe portare a
considerare “non contratti” gli accordi che comunque verrebbero conclusi tra
tali soggetti e le stazioni appaltanti, eludendo l'applicazione delle direttive
17/2004/CE e 18/2004/CE.
Appare chiaro, allora, quanto la pronuncia della Corte abbia spostato il
baricentro della questione, fugando ogni dubbio sull'impossibilita' per le
stazioni appaltanti di escludere a priori, dalla partecipazione alle gare, gli
enti pubblici non economici, e le Universita' in particolare, solo perche'
difettano del requisito dello scopo di lucro o di un'organizzazione stabile
d'impresa, ma nel contempo escludendo che i contratti conclusi tra
amministrazioni aggiudicatrici e organismi che non agiscono in base ad un
preminente scopo di lucro possano non essere considerati “appalti pubblici” e,
pertanto, venir aggiudicati senza il rispetto della normativa comunitaria e
nazionale dettata in materia.
2. Compatibilita' con il diritto comunitario degli accordi con le amministrazioni
aggiudicatrici
La Corte di Giustizia ha ribadito, in piu' sentenze (cfr. ad es. sentenza Coditel
Brabant, 13 novembre 2008, causa C-324/07), il principio secondo cui
un'amministrazione pubblica puo' adempiere ai compiti ad essa attribuiti
attraverso moduli organizzativi che non prevedono il ricorso al mercato esterno
per procurarsi le prestazioni di cui necessita, avendo piena discrezionalita' nel
decidere di far fronte alle proprie esigenze attraverso lo strumento della
collaborazione con le altre autorita' pubbliche. A ben vedere, quella esposta e'
la stessa ratio che e' alla base dell'esenzione dall'espletamento della gara nell'ipotesi
di utilizzo dell'in house providing: anche in questo caso l'amministrazione opta
per una scelta contraria al processo di outsourcing, stabilendo di affidare
l'attivita' a cui e' interessata ad un altro ente che solo formalmente e' distinto
dalla propria organizzazione, ma su cui sostanzialmente essa esercita un
controllo analogo a quello che espleterebbe nei confronti di un proprio servizio
e che realizza con essa la parte piu' importante della sua attivita'.
Il giudice comunitario e' tornato sul punto in una recente pronuncia (sentenza
del 9 giugno 2009, causa C-480/06) sancendo la legittimita' di un accordo
stipulato tra quattro Landkreise tedeschi e la citta' di Amburgo, subordinandola,
pero', al verificarsi di una serie di presupposti.
In tale contesto viene ribadito che se, da un lato, il diritto comunitario non
impone alle autorita' pubbliche di ricorrere a particolari forme giuridiche per
assicurare in comune le loro funzioni di servizio pubblico, dall'altro, questo
tipo di cooperazione non puo' “rimettere in questione l'obiettivo principale
delle norme comunitarie in materia di appalti pubblici, vale a dire la libera
circolazione dei servizi e l'apertura alla concorrenza non falsata in tutti gli
Stati membri.”
Nel caso specifico, la Corte ha espresso un giudizio di compatibilita'
dell'accordo con le norme del diritto comunitario perche' sussistevano le
seguenti condizioni:
• l'attuazione della cooperazione e' retta unicamente da considerazioni e
prescrizioni connesse al perseguimento di obiettivi d'interesse pubblico;
• viene salvaguardato il principio della parita' di trattamento degli
interessati, in modo tale che nessuna impresa privata e' posta in situazione
privilegiata rispetto agli altri concorrenti;
• la collaborazione tra amministrazioni non e' una costruzione di puro artificio
diretta ad eludere le norme in materia di appalti pubblici;
• gli unici movimenti finanziari ammessi tra gli enti pubblici cooperanti sono
quelli corrispondenti al rimborso delle spese effettivamente sostenute;
• tutte le strutture pubbliche coinvolte svolgono un ruolo attivo, anche se non
necessariamente nella stessa misura; quindi sussiste un'effettiva condivisione
di compiti e di responsabilita' ben diversa dalla situazione che si avrebbe in
presenza di un contratto a titolo oneroso in cui solo una parte svolge la
prestazione pattuita, mentre l'altra assume l'impegno della remunerazione;
• l'accordo controverso istituisce una cooperazione tra gli enti locali
finalizzata a garantire l'adempimento di una funzione di servizio pubblico
comune agli stessi che, nel caso specifico, e' costituita dallo smaltimento dei
rifiuti.
Parallelamente, si ricorda, pero', che la Corte ha dichiarato non conforme al
diritto comunitario escludere a priori dall'applicazione delle norme sugli
appalti i rapporti stabiliti tra amministrazioni pubbliche, indipendentemente
dalla loro natura. Ancora piu' esplicitamente, nella citata sentenza del 23
dicembre 2009, la Corte ha chiarito che la normativa comunitaria in materia di
appalti pubblici e' applicabile agli accordi a titolo oneroso conclusi tra
un'amministrazione aggiudicatrice ed un'altra amministrazione aggiudicatrice,
intendendo con tale espressione un ente che soddisfa una funzione di interesse
generale, avente carattere non industriale o commerciale e che, quindi, non
esercita a titolo principale un'attivita' lucrativa sul mercato.
Del resto, un'interpretazione della normativa comunitaria incline alla massima
apertura delle procedure selettive per l'affidamento di commesse pubbliche a
soggetti tradizionalmente esclusi, come le Universita', e' perfettamente in linea
con l'intento di circoscrivere il ricorso all'affidamento diretto: si tratta di
un “modus operandi” che prima della pronuncia menzionata poteva trovare una
qualche giustificazione nella considerazione secondo la quale, essendo al mondo
della ricerca precluso all'origine l'accesso al mercato dei contratti pubblici,
lo strumento dell'accordo-convenzione-contratto permetteva alla stazione
appaltante di assicurarsi la collaborazione sinergica con un polo di eccellenza,
come il settore universitario, non altrimenti conseguibile. Essendo, pero',
profondamente mutata l'interpretazione dell'articolo 34 del Codice, la pratica
descritta non ha piu' ragion d'essere.
La giurisprudenza comunitaria, pertanto, ritiene legittimo il ricorso a forme
di cooperazione pubblico-pubblico attraverso cui piu' amministrazioni assumono
impegni reciproci, realizzando congiuntamente le finalita' istituzionali affidate
loro, purche' vengano rispettati i presupposti sopra specificati. Anche il
Parlamento Europeo, richiamando gli insegnamenti della Corte di Giustizia, nella
risoluzione del 18 maggio 2010, ha ribadito la legittimita' di forme di
collaborazione pubblico-pubblico che “non rientrino nel campo d'applicazione
delle direttive sugli appalti pubblici, a condizione che siano soddisfatti tutti
i seguenti criteri:
•lo scopo del partenariato e' l'esecuzione di un compito di servizio pubblico
spettante a tutte le autorita' locali in questione,
•il compito e' svolto esclusivamente dalle autorita' pubbliche in questione, cioe'
senza la partecipazione di privati o imprese private,
•l'attivita' in questione e' espletata essenzialmente per le autorita' pubbliche
coinvolte.
Sul versante dell'ordinamento nazionale, la legittimita' dell'impiego dello
strumento convenzionale e' assicurata dalla previsione contenuta nel primo comma
dell'articolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241, secondo cui:“le
amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per
disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attivita' di interesse comune”
(cfr. TAR Puglia, Lecce, Sez. II, 2 febbraio 2010, n. 417 e n. 418
sull'interpretazione dell'articolo 90, comma 1, lett. c del Codice).
Tuttavia, per evitare che la disposizione possa prestare il fianco ad
interpretazioni che si risolvano in una elusione della normativa sugli appalti
pubblici, si ritiene necessario precisare i limiti che il ricorso alla
normativa in commento incontra:
1.l'accordo deve regolare la realizzazione di un interesse pubblico,
effettivamente comune ai partecipanti, che le parti hanno l'obbligo di
perseguire come compito principale, da valutarsi alla luce delle finalita'
istituzionali degli enti coinvolti;
2.alla base dell'accordo deve esserci una reale divisione di compiti e
responsabilita';
3.i movimenti finanziari tra i soggetti che sottoscrivono l'accordo
devono configurarsi solo come ristoro delle spese sostenute, essendo escluso il
pagamento di un vero e proprio corrispettivo, comprensivo di un margine di
guadagno;
4.il ricorso all'accordo non puo' interferire con il perseguimento
dell'obiettivo principale delle norme comunitarie in tema di appalti pubblici,
ossia la libera circolazione dei servizi e l'apertura alla concorrenza non
falsata negli Stati membri. Pertanto, la collaborazione tra amministrazioni non
puo' trasformarsi in una costruzione di puro artificio diretta ad eludere le
norme menzionate e gli atti che approvano l'accordo, nella motivazione, devono
dar conto di quanto su esposto.
In riferimento al punto 1, si sottolinea il fatto che la collaborazione deve
avere come finalita' la realizzazione di un interesse pubblico, effettivamente
comune ai partecipanti e che gli stessi hanno l'obbligo di perseguire come
compito principale.
Strettamente correlato al ragionamento appena svolto e' quello relativo al
significato da attribuire all'espressione “per disciplinare lo svolgimento in
collaborazione di attivita' di interesse comune” di cui al primo comma
dell'articolo 15 della legge 241/1990, la cui formulazione, per quanto generica,
sotto il profilo oggettivo pare circoscrivere, per le pubbliche amministrazioni,
la possibilita' di stipulare accordi alle ipotesi in cui occorra disciplinare
un'attivita' che risponde non solo all'interesse di entrambe le parti, ma che e'
anche comune. In proposito si specifica che il citato articolo 15 prefigura un
modello convenzionale attraverso il quale le pubbliche amministrazioni
coordinano l'esercizio di funzioni proprie in vista del conseguimento di un
risultato comune in modo complementare e sinergico, ossia in forma di “reciproca
collaborazione” e nell'obiettivo comune di fornire servizi “indistintamente a
favore della collettivita' e gratuitamente” (cfr. Cass. civ., 13 luglio 2006, n.
15893). Si comprende allora perche' l'articolo 15 in commento non risulti in
contrasto con la normativa a tutela della concorrenza: nel caso in esame le
amministrazioni decidono di provvedere direttamente con propri mezzi allo
svolgimento dell'attivita' ripartendosi i compiti, il che vale a dire,
trattandosi di una collaborazione, che entrambi i soggetti forniscono un proprio
contributo.
Discorso diverso, invece, nel caso in cui un ente si procuri il bene di cui
necessita per il conseguimento degli obiettivi assegnati a fronte del pagamento
del rispettivo prezzo: in questa situazione, sia che ci si rivolga ad un
privato, sia che ci si rivolga ad un soggetto pubblico, e' difficile sostenere
l'applicabilita' dello schema della collaborazione, atteso che si e' di fronte ad
uno scambio tra prestazioni corrispettive che risponde alla logica del contratto
e che percio' richiede, in assenza di altre circostanze esimenti, l'espletamento
di una gara pubblica.
Le argomentazioni riportate trovano riscontro in alcune sentenze del giudice
amministrativo (cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, n. 1791 del 21 luglio 2010)
secondo cui ”difetta l'interesse comune nell'accordo interamministrativo quando
un'amministrazione ha inteso acquisire da un'altra amministrazione un servizio
di proprio esclusivo interesse verso corrispettivo.……. La presenza di un
corrispettivo e' dunque da considerarsi quale elemento sintomatico della
qualificazione dell'accordo alla stregua di appalto pubblico, da assoggettare
alla relativa disciplina secondo le prescrizioni del codice degli appalti.”
Sulla base di quanto sopra considerato
IL CONSIGLIO
Ritiene che:
1.l'elenco riportato nell'articolo 34 del D.lgs. 163/2006 non e' da
considerarsi esaustivo dei soggetti di cui e' ammessa la partecipazione alle gare
indette per l'affidamento dei contratti pubblici;
2.gli accordi tra amministrazioni non possono essere stipulati in contrasto
con la normativa comunitaria, in particolare non devono interferire con il
perseguimento dell'obiettivo della libera circolazione dei servizi e
dell'apertura del mercato degli appalti pubblici alla concorrenza, nel rispetto
dei principi illustrati nella presente determinazione.
Firmato:
Il Relatore: Piero Calandra
Il Presidente: Giuseppe Brienza
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