Il Consiglio di Stato, con la sentenza 7731/2010, e' tornato ad occuparsi
della questione delle distanze tra edifici.
Si ritiene utile riepilogare le principali disposizioni normative vigenti
in materia, prima di evidenziare le considerazioni piu' interessanti rilevate
dai magistrati e riportate nel testo della sentenza.
Il Codice Civile (art. 873) prescrive che le costruzioni realizzate su
fondi confinanti, se non aderenti, devono essere poste alla distanza di almeno 3
metri (o alla maggiore distanza prevista dai regolamenti locali, emanati nel
rispetto delle norme statali e regionali); Il Decreto interministeriale 2 aprile
1968, n. 1444 tuttora vigente in forza dell'art. 136 del testo unico
dell'edilizia (che ha fatto salvi i commi 6,8 e 9 dell'art. 41 quinquies della
L. 17 agosto 1942, n. 1150), stabilisce, all'art. 9, le distanze minime tra
fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee. Per i nuovi edifici e'
prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di 10 m tra pareti
finestrate e pareti di edifici antistanti. Nelle Zone C (parti del
territorio destinate a nuovi complessi insediativi) e' prescritta, tra pareti
finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all'altezza del
fabbricato piu' alto.
Le distanze minime tra fabbricati tra i quali siano interposte strade
destinate al traffico dei veicoli, inoltre, devono essere pari alla larghezza
della strada aumentata, per ciascun lato, di:
- 5,00 m , per strade di larghezza inferiore a 7 m
- 7,50 m per lato, per strade di larghezza compresa tra 7 e 15 m
- 10,00 m per lato, per strade di larghezza superiore a 15 m
Sono ammesse distanze inferiori:
- in Zone A (centri storici) per le operazioni di risanamento
conservativo e per le eventuali ristrutturazioni. Le distanze tra gli edifici
non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati
preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca
recente e prive di valore storico, artistico o ambientale.
- nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani
particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche.
Con la citata sentenza 7731/2010 il Consiglio di Stato ha affermato, ancora
una volta, che le distanze stabilite dal D.M.1444/1968 costituiscono valori
minimi inderogabili che devono essere rispettati dai Comuni all'atto
dell'approvazione o della revisione degli strumenti urbanistici. La distanza di
dieci metri tra le pareti finestrate di edifici antistanti – si legge nella
sentenza - va rispettata in tutti i casi, poiche' si tratta di una norma volta a
impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo
igienico-sanitario che pertanto non e' eludibile.
Cio' comporta che il giudice di merito non solo ha l'obbligo di non
applicare le disposizioni dei piani regolatori che contrastano con quelle del
D.M.1444 (che pertanto sono illegittime) ma anche di applicare direttamente le
disposizioni dell'art. 9 che devono ritenersi "parte integrante dello strumento
urbanistico" in sostituzione delle norme illegittime.
La distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti -
precisa la sentenza - va calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati
(e non alle sole parti che si fronteggiano) e a tutte le pareti finestrate e non
solo a quella principale, prescindendo anche dal fatto che esse siano o meno in
posizione parallela. Ai fini del computo delle distanze devono essere
considerati tutti gli elementi costruttivi salvo che non si tratti di sporti e
di aggetti di modeste dimensioni con funzione meramente decorativa e di
rifinitura. Nel calcolo possono essere trascurati invece, ad esempio, i
manufatti come le mensole, le lesene, i risalti verticali delle parti con
funzione decorativa, le canalizzazioni di gronde e i loro sostegni.
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