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CALABRIA, Intaccato un prezioso patrimonio culturale. Carlopoli, Lamezia. E' stato un lavoro andato avanti per anni quello sfociato mercoledi' scorso con gli und
26/03/2007

CARLOPOLI - Lamezia. E' stato un lavoro andato avanti per anni quello sfociato mercoledì scorso con gli undici avvisi di garanzia nell'ambito dell'inchiesta su un presunto disastro archeologico in località Corazzo, nel territorio di Carlopoli, dove sono ancora visibili i resti della famosa abbazia.

I militari dell'Arma nell'agosto del 2005 effettuarono un controllo ai cantieri di lavoro, uno dei tanti accertamenti che effettuano quotidianamente.


fonte: lameziaweb.it

Ma per i carabinieri della Compagnia di Soveria Mannelli quella data estiva è stata la partenza di una lunga e complessa attività di indagini che ha consentito alla Procura della Repubblica di Lamezia Terme di emettere ben 11 avvisi di garanzia a a carico di altrettante persone.

Ecco una ricostruzione dei fatti effettuata dagli investigatori.
I carabinieri della stazione di Carlopoli, a fine agosto del 2005, controllarono il cantiere di lavoro in attività nei pressi dell'area dell' Abbazia di Corazzo. Un lavoro appaltato dalla Comunità Montana dei "Monti Mancuso, Reventino e Tiriolo" per la realizzazione di un'area attrezzata per la valorizzazione del territorio.

I militari intervenuti si resero subito conto che a loro avviso c'era qualcosa che non andava, si accorsero ben presto di qualcosa di più grave. In base alla ricostruzione degli stessi investigatori, i lavori di sbancamento stavano di fatto smantellando quello che già da tempo era stato segnalato come potenziale sito archeologico.

I carabinieri decisero quindi di ordinare l'immediata sospensione dei lavori, ponendo il cantiere sotto sequestro preventivo d'urgenza. Alcuni studiosi del posto qualche tempo prima avevano segnalato la presenza di resti archeologici di interesse, risalenti addirittura all'età del bronzo. A seguito delle prime segnalazioni intervennero sul posto anche dei tecnici della Soprintendenza ai Beni Culturali che confermarono la possibilità che si trattasse di un fortunato ritrovamento di materiali suppellettili verosimilmente riconducibili ad un insediamento preistorico sorto all'imboccatura della vallata dove, qualche secolo più tardi, sarebbe sorta l' Abbazia di Corazzo.

Nonostante le segnalazioni - sempre secondo i carabinieri - i lavori di sbancamento erano proseguiti sino a quando i militari, accortisi del danno arrecato all'area, per tutelare ciò che era rimasto di quel prezioso patrimonio storico e culturale, posero i sigilli, consegnando il sito alla Procura della Repubblica di Lamezia Terme che avviò da subito le indagini.

In base all'accusa, dalle indagini sarebbero emerse responsabilità per vari reati, a carico delle persone che, in questi giorni, hanno visto tornare i carabinieri presso il loro uffici per la notifica degli avvisi di garanzia e conclusione indagini: Roberto Spadea, direttore della Soprintendenza ai Beni Culturali della Calabria, responsabile per i territori del lametino; Giacomo Muraca, Presidente della Comunità Montana; il responsabile dell'area Tecnica, Mario Marasco, il direttore dei lavori, Vittorio Mazzei, il coordinatore per la sicurezza e responsabile dei lavori in fase di progettazione Giovanni Pultrone.

Insieme a loro anche Pasquale Lucchino, legale rappresentante della ditta appaltatrice, Vincenzo Manfredi, suo direttore tecnico; Claudio Cerra, amministratore della ditta subappaltatrice; Pino Scalise, il figlio Daniele Scalise e Andrea Scalzo, ditta che di fatto stava eseguendo i lavori sul cantiere sequestrato.

La notifica dell'avviso di garanzia a Daniele Scalise è stata eseguita presso il carcere di Catanzaro-Siano dove lo stesso è ancora detenuto a seguito dell'arresto operato dal Nucleo Operativo della Compagnia di Soveria Mannelli a gennaio, su ordinanza di custodia cautelare: il Tribunale della Libertà ha confermato appieno il quadro investigativo dei carabinieri e la misura cautelare per Scalise, nonostante la richiesta di remissione in libertà avanzata dai legali del giovane.

In base alle indagini dei carabinieri, coadiuvati dai tecnici della Procura di Lamezia Terme e da quelli nominati dagli stessi militari, ci sarebbe stato un grave danno al patrimonio storico e culturale. Il sito distrutto - precisano i carabinieri - era da proteggere proprio perche' si trattava di reperti archeologi tutelati dal decreto legislativo 42 del 1994 come "cose che interessano la paleontologia, la preistoria e le primitive civiltà".

Un sito archeologico vero e proprio di cui gli uomini dell'Arma sono diventati i primi garanti, seguendo passo passo il lavoro di recupero sul terreno dei tecnici che, nel corso di scavi regolari hanno appurato che si trattava di un sito archeologico costituito da un insediamento preistorico risalente all'età del rame (era eneolitica – III millennio A.C.).
Numerosi i frammenti recuperati: porzioni di pareti di ceramica di impasto, una macina usata 4.500 anni fa per frantumare granaglie, un fondo di vaso globulare, resti di una capanna.

Un lavoro certosino - affermano i militari - che ha consentito di salvare pezzi preziosi del nostro passato.

I carabinieri hanno inoltre approfondito gli accertamenti per capire come si sono svolti i lavori nell'area. Di qui ne è nata la contestazione alle ditte appaltatrici, subappaltatrici e alla "ditta Scalise" che di fatto stava operando sul cantiere, poiche' - sempre in base alla tesi accusatoria - sarebbe emerso come il finanziamento della Regione Calabria e della Comunità Europea, sia di fatto stato gestito da persone che non avrebbero avuto titolo, attraverso una illecita cessione del subappalto, effettuata senza autorizzazione dell'autorità competente. E peraltro - aggiunge l'accusa - in favore di persone che mai avrebbero potuto aggiudicarsi i lavori, con un evidente e rilevante vantaggio patrimoniale.

Per i carabinieri si è trattato di «una procedura anomala che avrebbe dovuto comportare un'immediata revoca dell'aggiudicazione dell'appalto che invece è continuato, portando fra l'altro alle gravi conseguenze sul sito. Quasi 250.000 euro di finanziamento pubblico sui quali la Procura della Repubblica ed i Carabinieri della Compagnia di Soveria Mannelli hanno indagato per mesi, al fine di chiarire, sino in fondo, tutti gli aspetti di una vicenda complessa e che ora è giunta a conclusione. Di certo le indagini e gli interventi effettuati dalla Benemerita e con la coordinazione della Procura di Lamezia Terme, dimostrano come l'impegno dello Stato sia costante anche quando si tratta di salvaguardare un patrimonio culturale prezioso, non solo per il comprensorio reventino, ma per l'intera Nazione».

 


 
 
 
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