Pesa come un macigno e scuote dalle fondamenta l'indolenza di buona parte della politica isolana, la decisione assunta dalla Confindustria siciliana, di espellere dall'Associazione chiunque subisca passivamente il racket, chiedendo, nello stesso tempo, agli imprenditori associati di denunciare i criminali che li taglieggiano
Fonte: Aprileonline.it
Vincenzo Ponticello e' uno degli imprenditori siciliani che ha deciso di alzare la testa e gridare pubblicamente il suo "no" alla violenza delle cosche, testimoniando in Tribunale contro i suoi estortori, uomini della famiglia mafiosa degli Spadaro, arrestati dai Carabinieri un anno e mezzo fa.
Attorno a Ponticello, titolare di uno dei locali storici piu' famosi di Palermo, l' "Antica Focacceria di S. Francesco", non c'e' piu' il drammatico isolamento che circondo' Libero Grassi, anche per responsabilita' dell'associazione degli industriali di Palermo dell'epoca.
Nell'aula del Tribunale si vede e si sente la presenza incoraggiante dei ragazzi di "Addio Pizzo", di Tano Grasso, presidente della federazione Antiracket, di Pina Maisano, vedova di Libero Grassi e di numerosi cittadini e imprenditori palermitani.
In Sicilia, infatti, a Palermo come a Catania, a Gela, a Caltanissetta, a Siracusa, e' in atto una vera e propria rivoluzione copernicana.
La modifica dell'atteggiamento di tanti imprenditori e' dimostrata non solo dalle denunce pubbliche di imprenditori come Andrea Vecchio, Presidente dell'Ance di Catania, che si rifiuta di a pagare il pizzo richiesto dagli uomini del racket, nonostante la lunga serie di attentati a catena contro i mezzi ed i cantieri della propria impresa.
Si sta finalmente comprendendo che non e' possibile "convivere con le mafie", che non si possono accettare le regole dettate dall'economia mafiosa, sperando di poter ricavare un proprio spazio di sopravvivenza, considerando questi "esborsi" come costi "normali" di produzione.
I settanta imprenditori, associatisi all'Antiracket di Gela, e le diverse centinaia di operatori economici che, in Sicilia come in Calabria ed in Campania, si organizzano in associazioni e non si rassegnano al silenzio contro la presenza del racket, dimostrano che esiste ormai un nuovo protagonismo degli imprenditori, che pero' stenta a trovare un'adeguata risposta in corrispondenti comportamenti e in scelte assunte tempestivamente dalla politica.
Tra le prime a muoversi e' stata l'Assindustria di Caltanissetta che ha iniziato un forte processo di rinnovamento liberandosi dalla inquietante tutela dell'ex Presidente Pietro Di Vincenzo, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, e a cui sono stati sequestrati i beni dalla Magistratura, per l'ammontare di diversi centinaia di milioni di euro.
Il gruppo di imprenditori nisseni, adesso presieduto da Antonello Montante, dopo le intimidazioni subite dal proprio Vicepresidente Marco Venturi, recentemente eletto Presidente della Camera di Commercio nissena, denuncia, senza reticenze, i collegamenti tra settori dell'economia inquinata settori della politica ed pubblica amministrazione spesso inefficiente e collusa, che ostacola lo sviluppo.
Pesa come un macigno e scuote dalle fondamenta l'indolenza di buona parte della politica isolana, la decisione assunta dalla Confindustria siciliana, di espellere dall'Associazione chiunque subisca passivamente il racket, chiedendo, nello stesso tempo, agli imprenditori associati di denunciare i criminali che li taglieggiano.
Una posizione coraggiosa che detta un codice di autoregolamentazione che dovrebbe spingere le forze politiche a dotarsi, al proprio interno, di regole altrettanto chiare ispirate alla coerenza dei comportamenti ed a codici etici non derogabili.
Alle Istituzioni dello Stato si chiedono interventi decisi e concreti moralita' ed autorevolezza alle istituzioni delle regioni del Sud, per restituire una vera liberta' alle imprese incoraggiando e tutelando quanti decidono di investire nel meridione.
Non va dimenticato che alla diffusa presa di coscienza degli operatori economici siciliani sta corrispondendo un'offensiva delle organizzazioni criminali contraddistinta, in Sicilia e nelle regioni del Sud, dalla ripresa degli assassini, dagli attentati incendiari, dalle intimidazioni e dalle minacce, anche ai dipendenti delle imprese che non vogliono pagare.
Una campagna terroristica che intende dimostrare, a tutti costi, l'immutata capacita' da parte delle cosche di controllare il territorio e le attivita' economiche, dagli appalti al collocamento della mano d'opera.
Dopo gli attestati di solidarieta' e la lunghissima serie di prese di posizione di rappresentanti politici di diversi schieramenti, il Governo ed il Ministro dell' Interno Amato hanno preannunciato le iniziative che, dovrebbero essere previste gia' dalla prossima finanziaria, offrendo una risposta concreta al bisogno di sicurezza e di legalita' che viene dalle regioni del Sud.
I punti essenziali della proposta del Governo sono racchiusi nella scelta di destinare un miliardo di euro in piu' nel bilancio del Viminale per organizzare una risposta incisiva dello Stato contro le mafie, dalla creazione di una task force di migliaia di uomini per prevenire e contrastare le organizzazioni criminali, e dall'istituzione di un tutor antiracket per proteggere l'imprenditore che si rifiuta di pagare e decide di denunciare i suoi estortori.
Un segnale forte ed incoraggiante, sancito dal "patto" firmato tra il Ministero dell'Interno, la Confindustria e la Federazione Antiracket italiana che risponde alla consapevolezza che soltanto la collaborazione organica tra lo Stato, la societa' civile e l'associazionismo sindacale ed imprenditoriale puo' creare quell'alleanza ampia in grado di contrastare il binomio illegalita' criminalita' senza richiedere ai singoli atti di eroismo. Occorre creare le condizioni per affermare il rispetto costante del principio di legalita', necessario a realizzare un solido tessuto di attivita' economiche e produttive che abbia al centro il lavoro e la dignita' delle persone.
*deputato di Sinistra Democratica
Fonte: Aprile on line
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