PERSONALE DIPENDENTE: SENTENZA, Illicenziabile chi dica al capo: ''Chi ti credi di essere?''
Data: 15/07/2009
Argomento: Personale dipendente


PERSONALE DIPENDENTE: SENTENZA, Illicenziabile chi dica al capo: "Chi ti credi di essere?"

I supremi giudici hanno confermato la sentenza dei giudici napoletani
Illicenziabile chi dica al capo: "Chi ti credi di essere?"
(Cassazione 6569/2009)

FONTE: AziendaLex

Non si puo' licenziare il lavoratore che, nell'ambito di un litigio, dica al suo superiore “Chi cazzo ti credi di essere?” 

La Cassazione ha convalidato la decisione con la quale la Corte d'appello di Napoli aveva detto 'no' al licenziamento di un ausiliario di una clinica privata, che si era rivolto cosi' al suo capo durante una discussione. 
La Suprema corte - con la sentenza 6569 del 2009- ha dato per buono il verdetto dei magistrati napoletani, che ha giudicato una simile espressione “irriguardosa ma non minacciosa” e da considerarsi come “effetto di una reazione emotiva ed istintiva del lavoratore ai rimproveri ricevuti” dal capo, escludendo che il fatto possa costituire vera e propria insubordinazione, tale da meritare il licenziamento.



Contro questa decisione, la casa di cura 'Alma mater' di Napoli ha protestato in Cassazione, sostenendo che Saverio M. doveva essere licenziato per il suo comportamento. Per due giorni consecutivi il lavoratore, incaricato di portare con un carrello le stoviglie per il vitto dei pazienti, ospitati in diversi piani, aveva rotto tutti i piatti e i bicchieri, perche' pretendeva di portare il vasellame in un solo giro, e il terzo giorno aveva fatto sbattere il carrello contro le bombole d' ossigeno. 

L'amministratore delegato, Fabrizio C., lo aveva rimproverato e Saverio gli aveva risposto per le rime. In Cassazione, la clinica ha sostenuto che ciascuno di questi tre episodi, compreso quello culminato con la frase incriminata, poteva giustificare il licenziamento. Ma la Suprema corte ha detto 'no', ritenendo che nessun episodio, considerato a se' stante, poteva giustificare la perdita del posto. (20 marzo 2009) 

FONTE: http://www.aziendalex.kataweb.it/article_view.jsp?idArt=87861&idCat=394


CASSAZIONE N. 06569/09 OGGETTO: LAVORO
LA CORTE  SUPREMA  DI  CASSAZIONE

Sezione Lavoro

Composta dagli Ill.mi sigg.ri Magistrati:

Dott. Federico Roselli -Presidente-

Dott. Stefano Monaci -consigliere-

Dott. Vincenzo Di Nubila -consigliere-

Dott. Antonio Ianniello -consigliere-

Dott. Gianfranco Bandini -Rel. Consigliere-


Ha pronunciato la seguente

SENTENZA


Sul ricorso 14052-2006 proposto da:

(……………………………..) in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DEL PARADISO 55, presso lo studio dell'avvocato DELLA CHIESA D'ISASCA FLAMINI; rappresentata e difesa dall'avvocato RIZZO NUNZIO giusto mandato a margine del ricorso;


-ricorrente-

Contro

(…………………………..) elettivamente domiciliato in Roma via Col di Lana n. 28 presso lo studio dell'avvocato PENNA CARLO, rappresentato e difeso dall'avvocato MARZIALE GIUSEPPE, giusta mandato in calce al controricorso;

-controricorrente-

Avverso la sentenza n. 2208/2005 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI , depositata il 17/05/2005 R.G.N. 2428/04;

udita la relazione delal causa svolta nella pubblica udienza del 10/02/2009 dal Consigliere Dott. Gianfranco Bandini;

udito l'avvocato Rizzo Nunzio;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso proposto il 23-10.2002 avanti al giudice del lavoro di Napoli, (…………….) impugno' il licenziamento intimatogli dalla (……………..) in data 18.6.2002, in forza di precedente lettera di contestazione del 29.5.2002, con la quale gli era stato addebitato che:

- il giorno 15.5.2002, durante lo svolgimento delle sue mansioni di ausiliario addetto al servizio stoviglie, aveva caricato eccessivamente il carrello portavivande, per cui in tal modo aveva determinato la distruzione delle stoviglie ivi trasportate, occorrenti ai tre piani di degenza, avendo cosi' disatteso la disposizione aziendale, piu' volte ribaditagli, secondo cui il trasporto doveva avvenire un piano per volta;

- il giorno 16.5.2002, aveva di nuovo caricato eccessivamente il carrello portavivande, cosi' provocando la rottura di piatti, bicchieri e tazze, nel frangente trasportati ed occorrenti per il pranzo dei degenti del II e V piano, cosi' contravvenendo ulteriormente alla suddetta disposizione aziendale;

- il giorno 28.5.2002 sempre durante lo svolgimento delle sue mansioni, aveva spinto con violenza il carrello portavivande contro la gabbia contenente le bombole di ossigeno e quindi, di seguito all'invito ricevuto dall'amministrazione della societa' (…)

a prestare piu' attenzione nell'uso, corretto, del carrello, alla presenza di vari compagni di lavoro, aveva proferito verso il predetto amministratore frasi ingiuriose e minacciose (del tipo «chi cazzo ti credi di essere, se sei un uomo esci fuori, non ti faccio campare piu' tranquillo»).

Il ricorrente dedusse che, per gli episodi del 15 e del 16 maggio, il tutto si era verificato in quanto il carrello, carico di stoviglie, aveva ceduto, mentre per i fatti del 28 maggio egli era stato solo intento a spingere il carrello vuoto, di cui aveva perso il controllo, cosi' da urtare la gabbia in cui erano allocate le bombole di ossigeno, e che, in tale occasione, l'amministratore della societa' aveva inveito nei suoi confronti e lo aveva aggredito fisicamente, procurandogli un trauma all'arto superiore, cosi' come riportato nell'apposito referto rilasciato dall'ospedale Cardarelli, presso cui si era recato al termine del turno di servizio; osservo' che non era stata emanata alcuna disposizione in ordine alle modalita' di carico dei carrelli per un solo piano alla volta e che il ribaltamento dei carrelli era dipeso dal loro cattivo stato di manutenzione; escluse, inoltre, di aver mai pronunciato le ricordate espressioni nei riguardi dell'amministratore della societa'.

Radicatosi il contraddittorio e sulla resistenza della parte datoriale, il Giudice adito, ritenuta la sproporzione tra gli addebiti accertati e la sanzione inflitta, dichiaro' l'illegittimita' del licenziamento impugnato, disponendo per la reintegrazione nel posto di lavoro e per il risarcimento del danno alla stregua della ritenuta applicabilita' della cosiddetta tutela reale.

La corte d'appello di Napoli, con sentenza in data 22.3 – 17.5.2005, respinse l'appello proposto dalla (………………….) osservando a sostegno del decisum, per cio' che qui rileva, quanto segue:

- non era emersa la prova di alcuna aggressione o minaccia posta in essere da (………..) nell'episodio del 28.5.2002;

- mancava la prova del grave inadempimento del lavoratore giustificativo del licenziamento, difettando ogni concreto indizio a conforto dell'ipotizzata insubordinazione, posto che l'animata discussione intervenuta tra il (…..) e l'amministratore andava ricondotta nei ragionevoli e ridotti termini gia' congruamente ricostruiti e apprezzati dal primo Giudice, non potendo neppure escludersi una provocazione ed una conseguente colluttazione innescata dallo stesso (…..) tenuto conto che, se nessuno dei testimoni aveva potuto riferire in ordine all'aggressione denunziata dal lavoratore neppure, era stato in grado di riferire in ordine alle precise modalita' di origine della lite; le frasi irriguardose, ma non minacciose, attribuite al (….) da due dei vari testi escussi andavano correttamente inquadrate e ridimensionate in un contesto di emotiva e istintiva reazione, ed erano «presumibilmente» ascrivibili al fatto che egli era stato aspramente redarguito e «forse» anche aggredito fisicamente, apparendo «del tutto inverosimile» che il (…..) si potesse essere rivolto in malo modo ed in assenza di una precisa causa scatenante verso il superiore, per giunta con il preciso e consapevole intento di ribellarsi allo stesso e di contestare la sua autorita' gerarchica in ambito aziendale, per conseguenza, il fatto di aver profferito la frase «chi cazzo credi di essere» o «chi ti credi di essere», nello specifico contesto e allo stato degli atti, poteva spiegarsi unicamente come reazione ad un eccessivo e sgarbato rimprovero e non potevano integrare gli estremi di una vera e propria insubordinazione, a sua volta rilevante irrimediabilmente sul rapporto di fiducia;

- i requisiti del notevole inadempimento e della sussistenza della particolare gravita' del fatto, richiesti dal CCNL di settore per potersi far luogo alla sanzione espulsiva anche in ipotesi di insubordinazione o di negligente esecuzione delle disposizioni impartite, erano mancanti sia con riferimento alle rotture delle stoviglie nei giorni 15 e 16 maggio 2002, sia in ordine all'alterco del successivo 28 maggio;

- secondo il disposto dell'art. 7, ultimo comma, legge n. 300/70, non poteva tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari in precedenza irrogate una volta decorsi due anni dalla loro applicazione.

Avverso l'anzidetta sentenza della corte d'appello di Napoli la (…..) ha proposto ricorso per cassazione fondato su dieci motivi e illustrato con memoria.

L'intimato (….) ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.


MOTIVI DELLA DECISIONE



la Corte territoriale ritenuto la mancanza di ogni concreto indizio a conforto dell'ipotizzata insubordinazione e per aver ritenuto che le frasi profferite dal (….) all'indirizzo dell'amministratore potevano spiegarsi unicamente come reazione ad un eccessivo e sgarbato rimprovero, seguito da vie di fatto, in quanto presumibilmente aspramente redarguito e forse anche aggredito fisicamente; sostiene al riguardo la ricorrente che il (….) non aveva provato, come era suo onere, i fatti giustificativi del suo comportamento, quale reazione ad una pretesa condotta datoriale illegittima; contraddittoriamente, inoltre, la sentenza impugnata aveva dapprima accertato che non vi era stata alcuna aggressione effettuata dall'amministratore e poi giustificato il comportamento del lavoratore sulla base di una presumibile aggressione verbale e forse anche fisica ai suoi danni.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2119 cc. E dell'art. 3 legge n. 604/1966 nonche' vizio di motivazione, in relazione all'art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, cpc, per avere la corte territoriale ritenuto che le espressioni pronunciate dal (….) all'indirizzo dell'amministratore delegato, cosi' come accertate, non costituivano insubordinazione di particolare gravita' (e dunque notevole inadempimento), integrando con cio' la giusta causa ovvero il giustificato motivo soggettivo di licenziamento.

la Corte territoriale erroneamente ritenuto che l'amministratore delegato (…..) non fosse legittimato a presenziare alle udienze di escussione dei testimoni e che la sua presenza avesse indotto «un timore reverenziale condizionante le deposizioni dei testi escussi»

la Corte territoriale ritenuto , in virtu' del certificato medico rilasciato in data 28.5.2002 dall'ospedale Cardarelli di Napoli, che il (….) avrebbe riportato lesioni nell'alterco con l'amministratore.

Con il sesto motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 7 legge n. 300/70 e 2697 cc., nonche' vizio di motivazione, in relazione all'art. 360 comma 1, nn.3 e 5, cpc, per avere erroneamente la corte territoriale ritenuto, in riferimento agli episodi del 15 e 16 maggio 2002, che non fosse stata provata la negligenza del lavoratore, quale unico fattore causale dei sinistri, diversamente attribuibili anche a difetti strutturali dei carrelli in dotazione.

la Corte territoriale ritenuto che gli episodi del 15 e 16 maggio 2002 potessero acquistare rilevanza nel procedimento disciplinare in oggetto solo se concretanti «un notevole inadempimento» e se di «particolare gravita'».

Con l'ottavo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 cc. Nell'interpretazione dell'art. 30 CCNL per i dipendenti da case di cura private del 13.10.1999, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 cpc, per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto che gli inadempimenti contrattuali aggiuntivi rispetto ad altro notevole inadempimento, non possono acquisire rilevanza nel procedimento disciplinare poi sfociato in un licenziamento se non concretanti «un notevole inadempimento» e se non di «particolare gravita'».

Con il nono motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 cc. Nell'interpretazione dell'art. 33 CCNL per i dipendenti da case di cura private del 13.10.1999, nonche' vizio di motivazione in relazione all'art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, cpc, per avere la corte territoriale omesso di valutare che, in virtu' del predetto art. 33 CCNL, incorre il licenziamento il dipendente che ponga in essere un comportamento sanzionabile comunemente con una sospensione laddove abbia gia' ricevuto nell'anno due precedenti sospensioni dal lavoro e dalla retribuzione. 

Con il decimo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 7 legge n. 300/70 , 2119 cc e 3 legge n. 604/66, nonche' vizio di motivazione, in relazione all'art. 360 comma 1, nn. 3 e 5, cpc, per non avere la corte territoriale valutato, per l'apprezzamento complessivo del comportamento del (….) ai fini della legittimita' del licenziamento, i precedenti provvedimenti disciplinari dallo stesso subiti, sebbene non contestati ai fini della recidiva e sebbene comminati oltre il biennio precedente l'ultima contestazione.


2. Il primo, secondo, terzo e quinto motivo di ricorso, siccome fra loro strettamente connessi, vanno esaminati congiuntamente.

Osserva il collegio che, secondo il condiviso orientamento di questa Corte, per stabilire in concreto l'esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello fiduciario,occorre valutare da un lato la gravita' dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all'intensita' dell'elemento intenzionale, dall'altro la proporzionalita' fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell'elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare (cfr. ex plurimis, Cass. nn. 20221/2007; 24349/2006; 19270/2006; 12001/2003).

Nel caso di specie la corte territoriale, con apprezzamento di fatto incensurabile in questa sede di legittimita', ha ritenuto sulla scorta delle deposizioni testimoniali diffusamente richiamate, che le espressioni «irriguardose» (ma non minacciose) rivolte dal (….) all'amministratore (….), andavano valutate nel complessivo contesto in cui erano state pronunciate caratterizzato da un alterco intervenuto fra i due, e ritenendole con plausibile valutazione effetto di una reazione «emotiva ed istintiva» del lavoratore ai rimproveri ricevuti, con cio' escludendone l'ascrivibilita' ad una ipotesi di vera e propria insubordinazione e, comunque, la particolare gravita' contrattualmente richiesta per potersi fare applicazione della sanzione punitiva.

L'ulteriore accenno al fatto che «forse» (….) poteva essere stato aggredito fisicamente dall'amministratore non svolge proprio perche' chiaramente espresso in forma dubitativa, un ruolo determinante nella valutazione di merito resa dalla Corte territoriale, cosicche' non puo' ravvisarsi una contraddittorieta' con la pur chiaramente indicata assenza di prove in ordine all'aggressione denunziata dal lavoratore.

Del pari sostanzialmente irrilevante nell'ampio contesto motivazionale adottato , e' poi l'accenno al fatto che solo il lavoratore aveva riportato delle lesioni, cosicche' anche sotto tale specifico profilo deve essere escluso il denunciato vizio di contraddittorieta' della decisione impugnata, che presuppone l'essere state poste a fondamento della decisione ragioni sostanzialmente contrastanti, tali da elidersi a vicenda e da non consentire l'individuazione della ratio decidendi, cioe' l'identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione adottata (cfr, ex plurimis, Cass. n. 11936/2003).

I motivi di ricorso all'esame non possono essere quindi accolti.


2. Il quarto motivo di ricorso e' inammissibile per carenza di interesse, poiche' le considerazioni della Corte territoriale su un «verosimile timore reverenziale condizionante le deposizioni dei testi escussi tutti ancora dipendenti della convenuta» e sul fatto che le deposizioni erano state «talvolta» rese alla presenza del (….) che per tabulas non risultava a cio' legittimato, non si sono tradotte nell'affermazione di inattendibilita' di taluna delle deposizioni testimoniali acquisite e, quindi, non hanno avuto incidenza sostanziale sulla decisione assunta.

3. Il sesto motivo di ricorso risulta infondato, poiche' l'affermazione che non poteva ritenersi adeguatamente provata la colposa negligenza del lavoratore , quale unico fattore causale dei sinistri accaduti il 15 e il 16 maggio , siccome «diversamente attribuibili anche a difetti strutturali dei carrelli in dotazione» da un lato e' di natura meramente rafforzativa («per giunta») rispetto alla gia' precedentemente affermato insussistenza dei richiesti requisiti del notevole inadempimento e della particolare gravita' del fatto, dall'altro va ricollegata ai richiami in precedenza effettuati alle testimonianze acquisite sul punto, cosicche' le censure svolte dalla ricorrente si risolvono nella richiesta di un riesame, inammissibile in questa sede, di tali risultanze processuali.

4. Secondo il condiviso orientamento di questa corte in tema di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, allorquando vengano contestati al dipendente diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare, il giudice di merito non deve esaminarli atomisticamente, riconducendoli alle singole fattispecie previste da clausole contrattuali, ma deve valutarli complessivamente, al fine di verificare se la loro rilevanza complessiva sia tale da minare la fiducia che il datore di lavoro deve poter riporre nel disdente (cfr, ex plurimis, Cass. nn. 6454/2006; 6668/2004; 13536/2002).

La corte territoriale, richiamandosi a un peraltro male interpretato arresto di questa Corte (Cass. n. 12678/1992), si e' viceversa limitata ad escludere che ciascuno dei tre addebiti contestati presentasse – in se' considerato – i requisiti richiesti per giustificare il ricorso alla sanzione espulsiva, omettendo tuttavia di valutare globalmente i tre episodi, traendone le necessarie conclusioni sul piano della loro eventuale complessiva idoneita' a configurare un notevole inadempimento e ad incidere quindi in maniera irreversibile sull'elemento fiduciario.

Il settimo motivo di ricorso si presenta quindi fondato.

5. L'ottavo e il nono motivo di ricorso sono inammissibili, non avendo la parte ricorrente, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, riportato il contenuto delle norme contrattuali collettive di cui lamenta l'erronea interpretazione o l'omessa considerazione.

6. Secondo il condiviso orientamento di questa Corte il principio della immutabilita' della contestazione dell'addebito disciplinare mosso al lavoratore ai sensi dell'art. 7 statuto lavoratori preclude al datore di lavoro di licenziare per altri motivi, diversi da quelli contestati, ma non vieta di considerare fatti non contestati, e collocatisi a distanza anche superiore ai due anni del recesso, quali circostanze confermative della significativita' di altri addebiti posti base di licenziamento, al fine di valutazione della complessiva gravita', sotto il profilo psicologico delle inadempienze del lavoratore e della proporzionalita' o meno del correlativo provvedimento sanzionatorio dell'imprenditore, non ostando a tale valutazione la disposizione di cui all'ultimo comma dell'art. 7 legge n. 300/70 (cfr., ex plurimis, CAss. nn. 7734/2003; 9811/1998; 1925/1998; 6523/1996; 5093/1995).

La corte territoriale si e' discostata da tale orientamento interpretativo, affermando come gia' ricordato nell'istorico di lite, che, in base all'art. 7, ultimo comma, legge n. 300/70, non poteva tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari in precedenza irrogate una volta decorsi due anni dalla loro applicazione e, con cio' omettendo qualsiasi valutazione, sia pure quali circostanze confermative della significativita' e gravita' degli addebiti contestati, in ordine ai precedenti disciplinari allegati dalla parte datoriale.

Anche il decimo motivo di ricorso risulta quindi fondato.

7. In base alle considerazioni che precedono va quindi riconosciuta la fondatezza del settimo e del decimo motivo di ricorso, che nel resto deve invece essere disatteso.

La sentenza impugnata va quindi cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio per nuovo esame al Giudice indicato in dispositivo, che giudichera' conformandosi ai su indicati principi di diritto e provvedera' altresi' sulle spese del giudizio di cassazione.


P.Q.M.


La Corte accoglie il settimo e il decimo motivo di ricorso, rigetta nel resto cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese, alla corte d'Appello di Napoli in diversa composizione.


Cosi' deciso in Roma il 10 febbraio 2009.


Il consigliere est. Il Presidente

(Dr. Gianfranco Bandini) (dr. Federico Roselli)



DEPOSITATO IN CANCELLERIA

IL 18 MARZO 2009.







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