IL DATORE DI LAVORO E' RESPONSABILE ANCHE SE IL LAVORATORE FIRMA DI AVER RICEVUTO I DPI MA NON LI INDOSSA. Sentenza Cassazione.
"... Lo
strumento della adeguata valutazione dei rischi e' un documento che il datore di lavoro
deve elaborare con il massimo grado di specificita', restandone egli garante ... la Corte di Bologna, richiamate le
argomentazioni del giudice di prime cure, ha del tutto correttamente affermato che una
adeguata valutazione del rischio avrebbe dovuto prevedere il rischio di proiezione di
schegge durante lo scarico delle ceste ai cassoni dei pezzi metallici usciti dalla pallinatura
ed imporre l'adozione degli occhiali protettivi, che invece - come emerso dall'istruttoria di
cui hanno dato conto i giudici di merito - nessuno indossava...."
Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 43271 Anno 2016
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 9 luglio 2015 la Corte d'Appello di Bologna confermava la
condanna pronunciata dal Tribunale cittadino nei confronti di Gamberini Emiliano per il
reato di cui agli artt.590, comma 3, 583, comma 1 n.1, c.p. ai danni di Letan Lucian
Ghita, assunto a tempo indeterminato dalla societa' di somministrazione di lavoro
temporaneo "3.0.B. spa" e da quest'ultima avviato presso l'azienda del Gamberini come
operaio addetto alla pallinatura; confermava altresi' la condanna al risarcimento dei danni
in favore della persona offesa, costituitasi parte civile.
Era stato contestato all'imputato, nella sua qualita' di Presidente del Consiglio di
Amministrazione e legale rappresentante della societa' "TT srl", e dunque di datore di
lavoro, di aver cagionato lesioni colpose gravi al detto operaio, a seguito dell'entrata di
un corpo estraneo metallico nell'occhio sinistro, che aveva reso necessario un intervento
chirurgico di asportazione della cataratta e sostituzione del cristallino con uno artificiale,
con postumi permanenti invalidanti.
Erano state poi delineate, come profili di colpa
specifica, la omessa valutazione e previsione dello specifico rischio di "proiezione" di
schegge a seguito dell'urto tra pezzi in lavorazione, la omessa adozione di misure
protettive ed ancora la omessa formazione del lavoratore in materia di sicurezza.
Al Gamberini era stato ancora contestato, nella indicata qualita', l'illecito
amministrativo dipendente dal reato, commesso nell'interesse della societa', poiche' le
omissioni antinfortunistiche avrebbero, in ipotesi, consentito una produzione piu' rapida di
pezzi ad un costo minore, illecito dichiarato insussistente dal Tribunale.
2. La Corte territoriale, nel rigettare i motivi di gravame e ripercorrendo le
motivazioni svolte dal primo giudice, evidenziava in primo luogo che l'acquisto da parte
dell'imputato di occhiali di protezione a far data dal 2003 non era sufficiente ad
esonerarlo dalla responsabilita' per l'evento lesivo, in quanto i tecnici della ASL, acceduti
presso la sede della ditta, avevano rilevato che nessuno degli addetti ai lavori indossava
occhiali protettivi ed inoltre nel Documento di valutazione dei rischi dell'azienda non era
stata contemplata la possibilita' specifica di formazione e proiezione di schegge durante lo
scarico dalle ceste ai cassoni dei pezzi metallici usciti dalla pallinatura.
Quanto all'elemento soggettivo del reato, escludeva che la designazione di un
responsabile della sicurezza e della prevenzione nell'ambiente di lavoro ed il contestuale
affidamento al capo del reparto pallinatura del compito di controllare l'organizzazione del
lavoro, esonerasse il datore di lavoro dalla responsabilita' in ordine agli infortuni dovuti
alla mancata osservanza delle misure previste dalla legge.
Nessuna colpa poteva poi essere addebitata al lavoratore infortunato per il mancato
utilizzo degli strumenti di protezione e prevenzione datigli in dotazione, di cui risultava
una mera firma per presa di consegna, in quanto non era stato appurato che gli occhiali
gli fossero stati effettivamente forniti ed anzi era certo che nessuno li utilizzasse.
Infine, andava esclusa ogni condotta imprevedibile ed abnorme dell'operaio, che al
momento dell'infortunio stava svolgendo l'attivita' cui era addetto.
3. Ha proposto ricorso l'imputato, tramite il difensore di fiducia, per tre distinti
motivi.
3.1. Con un primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in
relazione al giudicato interno formatbsi sull'illecito amministrativo contestato alla societa'
"TT srl".
3.2. Con un secondo motivo lamenta illogicita' della motivazione con riferimento
all'elemento soggettivo del reato, non avendo la Corte tenuto conto della posizione
apicale rivestita dal Gamberini, il quale oltre ad essere a capo di una complessa
organizzazione aziendale, aveva nominato un responsabile per la sicurezza e la
prevenzione, tal Masi Fausto, ed inoltre contestualmente affidato al capo reparto
pallinatura, Liguori Michele, il compito di sovraintendere alla puntuale osservanza delle
prescrizioni intinfortunistiche.
3.3. Con un terzo motivo lamenta infine che la Corte d'Appello non si era posta la
questione dell'applicabilita' dell'art.131 bis c.p.
3.4. Con successiva memoria depositata ex art.121 c.p.p. ha chiesto in subordine
l'annullamento della sentenza per maturata prescrizione.
4. La parte civile ha anch'essa depositato memoria ex art.121 c.p.p. in replica ai
motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non e' fondato.
2. In ordine al primo motivo si osserva che la declaratoria di insussistenza dell'illecito
amministrativo contestato alla TT r.I., e dunque al Gamberini quale Presidente del
consiglio di amministrazione e legale rappresentante, non ha valore di giudicato interno -
come sostiene la difesa dell'imputato - che porterebbe all'esclusione della penale
responsabilita' per il reato di lesioni ai danni del lavoratore.
L'illecito amministrativo dipendente da reato infatti, come ben evidenziato dai giudici
di merito, si configura esclusivamente quando e' dimostrato che dalla condotta colposa
costituente reato sia derivato un incremento in termini di produttivita' aziendale ovvero
un concreto vantaggio per l'impresa,-consistente in un risparmio di spesa conseguito alla
mancata adozione delle misure di prevenzione, relazione esclusa nel caso di specie in cui
l'addebito e' stato attribuito ad una negligenza occasionale e non ad una scelta di politica
aziendale.
Il reato contestato alla persona fisica funge solo da presupposto per la
responsabilita' della persona giuridica, da affermarsi quest'ultima qualora ne sussistano
gli elementi costitutivi, indicati dal D.Lgs.n.231/2001 nell'interesse o vantaggio derivanti
dalla condotta costituente reato (S.U., 25 settembre 2014, Uniland Spa ed altro,
Rv.263679; S.U., 24 aprile 2014, Espenhahn ed altri, Rv.261115).
3. In relazione al secondo motivo non puo' che ribadirsi il principio costantemente
affermato da questa Corte Suprema in materia di obblighi di vigilanza e di controllo
gravanti sul datore di lavoro, obblighi che non vengono meno con la nomina del
responsabile del servizio di prevenzione e protezione, il quale svolge solo una funzione di
ausilio diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro nell'individuazione dei
fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e nelle
pratiche di informazione e di formazione dei dipendenti.
Dunque nonostante si sia proceduto, come nel caso di specie, alla nomina di un RSPP
il Gamberini, nella sua posizione di garanzia quale datore di lavoro, ha mantenuto
l'obbligo di effettuare la valutazione dei rischi e di elaborare il documento relativo alle
misure di prevenzione e protezione, come imposto espressamente dall'art.17
D.Lgs.n.81/2008 anche nelle imprese di grandi dimensioni (Sez.4, 5 aprile 2013 n.50605,
rv.258125.
La Corte territoriale, con ragionamento immune da vizi logici e giuridici, ha escluso la
concreta previsione del rischio e conseguentemente la sua corretta gestione e, per altro
verso, ogni condotta incongrua del lavoratore: quest'ultima infatti - come piu' volte
affermato da questa Corte Suprema (cosi' la gia' citata S.U. n.38343/2014, Espenhahn e
altri) - puo' considerarsi interruttiva del nesso di condizionamento solo quando si collochi
in qualche modo al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso, mentre
nel caso di specie l'evento e la condotta omissiva che vi ha dato causa sono riconducibili
proprio all'area di rischio tipica della prestazione lavorativa.
Il datore di lavoro ha dunque l'obbligo giuridico di analizzare, secondo la propria
esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo
concretamente presenti all'interno dell'azienda e, all'esito, deve redigere e sottoporre ad
aggiornamenti periodici il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art.28 del
D.Igs.n.81/2009, all'interno del quale e' tenuto ad indicare le misure precauzionali e i
dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori.
Lo
strumento della adeguata valutazione dei rischi e' un documento che il datore di lavoro
deve elaborare con il massimo grado di specificita', restandone egli garante: l'essenzialita'
di tale documento deriva con evidenza dal fatto che, senza la piena consapevolezza di
tutti i rischi per la sicurezza, non e' possibile una adeguata politica antinfortunistica (cosi',
Sez.4, 13 dicembre 2010, n.43786, Cozzini). E cio' perche' in tema di prevenzione degli
infortuni sul lavoro, il rapporto di causalita' tra la condotta dei responsabili della
normativa antinfortunistica e l'evento lesivo deve essere accertato in concreto,
rapportando gli effetti dell'omissione all'evento che si e' concretamente verificato (Sez.4,
10 marzo 2016 n.20129, Rv.267253; Sez.4, 3 marzo 2010 n.8622, Rv.246498).
Facendo applicazione di tali principi di diritto, la Corte di Bologna, richiamate le
argomentazioni del giudice di prime cure, ha del tutto correttamente affermato che una
adeguata valutazione del rischio avrebbe dovuto prevedere il rischio di proiezione di
schegge durante lo scarico delle ceste ai cassoni dei pezzi metallici usciti dalla pallinatura
ed imporre l'adozione degli occhiali protettivi, che invece - come emerso dall'istruttoria di
cui hanno dato conto i giudici di merito - nessuno indossava.
4. Quanto alla doglianza relativa alla mancata applicazione dell'art.131 bis c.p. si
impongono due considerazioni: la prima, che la richiesta doveva essere avanzata nel
corso del giudizio di appello, avendo questa Corte statuito nel senso puo' essere
esaminata la questione in sede di legittimita' solo ove non era possibile proporla prima (S.
U., 25 febbraio - 6 aprile 2016 n.13681, Rv.266590); la seconda, che la Corte di Bologna
ha ritenuto implicitamente il fatto non di lieve entita' avendo disatteso la richiesta della
difesa di conversione della pena detentiva irrogata nella corrispondente pena pecuniaria.
5. Il tempo decorso dalla data del fatto comporta peraltro la declaratoria di
estinzione del reato per intervenuta prescrizione, non potendosi - per le considerazioni
sin qui svolte - pronunciare sentenza assolutoria ex art.129 c.p.p.
Ne deriva l'annullamento della sentenza agli affetti penali ed il rigetto del ricorso ai
fini civili.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche' il reato e' estinto per prescrizione.
Rigetta il ricorso agli effetti civili.
Cosi' deciso in Roma nella camera di consiglio del 20 settembre 2016